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Lot # 363 - MEDAGLIE ITALIANE – REGNO D’ITALIA – VITTORIO EMANUELE III (1900-1945), Croce da Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia (38x41mm, 11.7.g.). Realizzata in filamenti in bagno d’oro e smalti policromi. Conservazione BB (mancanze negli smalti- dischi centrali rincollati). La croce dell'Ordine era composta da una croce smussata in smalto bianco, i cui bracci erano uniti da nodi sabaudi d'oro. La decorazione, al centro, portava un tondo raffigurante la Corona Ferrea su campo blu. Sul retro, nello stesso tondo, era raffigurata l'aquila sabauda di nero su fondo oro. Aveva una dimensione di 35 mm per Cavalieri e Ufficiali e di 50 mm per Commendatori, Grandi Ufficiali e Gran Cordoni. Il nastro dell'ordine era rosso con una striscia bianca centrale della larghezza «di due ottavi della larghezza del nastro». I cavalieri portavano la croce dell'Ordine appesa all'occhiello; per gli ufficiali si aggiungeva una rosetta al nastro (come in questo caso). L'Ordine della Corona d'Italia era un'onorificenza del Regno d'Italia. Prima onorificenza a carattere "nazionale" del neonato regno italiano, venne istituita nel 1868 da re Vittorio Emanuele II. Istituito dal re Vittorio Emanuele II il 20 febbraio 1868, in occasione delle nozze del figlio Umberto con la principessa Margherita, per consacrare la quasi consolidata unità d'Italia, grazie all'annessione dei territori veneti, l'ordine si presentava come una variante meno elitaria dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, dal momento che poteva essere conferito sia a civili sia a militari, senza distinzione di religione. L'Ordine però si distingueva da tutti i precedenti creati da Casa Savoia in quanto era il primo ad avere un carattere nazionale, legato indissolubilmente al Regno d'Italia. Il decreto del 1868 stabiliva le classi dell'ordine e il loro limite di numero (art. 4): 60 Gran Cordoni, 150 Grandi Ufficiali, 500 Commendatori e 2 000 Uffiziali (il numero dei Cavalieri rimase indeterminato). Umberto I nel 1885  stabilì un limite nel numero annuo di nomine (12 Cavalieri di Gran Croce, 30 Grandi Ufficiali, 100 Commendatori, 200 Ufficiali e 1 200 Cavalieri) al fine di porre anche l'Ordine della corona d'Italia sul medesimo piano del ben più antico Ordine mauriziano («le due istituzioni cavalleresche si rendano pel ristretto numero e per la qualità dei decorati sempre più degne della fama che meritano per la loro origine»). Da tali limiti erano escluse le nomine motu proprio del sovrano, le nomine a personalità estere e le nomine per funzionari a riposo. I limiti annui furono modificati nel 1890: 12 Cavalieri di Gran Croce, 40 Grandi Ufficiali, 150 Commendatori, 300 Ufficiali e 1 600 Cavalieri.  Un decreto ministeriale della Presidenza del Consiglio dei Ministri stabilì la ripartizione delle nomine tra i ministeri per l'anno 1892: Con decreto del 1911 furono posti nuovi limiti (periodo di due o tre per la nomina a un grado superiore) e l'Ordine della Corona d'Italia divenne propedeutico per l'ammissione nell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Tale riforma a ogni modo fu mal vista soprattutto in certi ambienti aristocratici in quanto sovente l'Ordine della corona d'Italia era assegnato alla borghesia emergente proprio perché variante meno elitaria dell'Ordine mauriziano. Nell'Ordine delle precedenze a Corte e nelle funzioni pubbliche, stabilito tramite decreti, i decorati della Corona d'Italia seguivano puntualmente i parigrado sia dell'Ordine militare di Savoia sia dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Con il decreto del 1911 si garantiva dunque che per essere insigniti dell'Ordine mauriziano fosse necessario essere stati o venire insigniti almeno dello stesso grado dell'Ordine della Corona d'Italia da almeno un anno (art. 4). Da questa regola statutaria erano escluse le nomine motu proprio del Sovrano,  come quelle dei principi di sangue o come quelle dei parenti stretti di casa Savoia. Alla cessazione della monarchia, il re Umberto II ha continuato a conferire l'Ordine della Corona d'Italia fino alla morte, avvenuta il 18 marzo 1983. Data la richiesta degli aderenti, anche nel regime repubblicano, coloro che fossero stati insigniti di questa onorificenza poterono continuare a fregiarsene in pubblico con l'accortezza però di sostituire nelle barrette da divisa le corone reali con altrettante stellette a cinque punte. Questo status quo delle cose rimase sino al 1951 quando l'Ordine venne definitivamente sostituito con l'Ordine al merito della Repubblica Italiana. Con la morte di Umberto II, questo ordine cessò ufficialmente di esistere e venne formalmente sostituito dall'Ordine al Merito di Savoia, fondato da suo figlio Vittorio Emanuele come ordine dinastico e non più legato quindi alla corona d'Italia.
Lot # 367 - MEDAGLIE ITALIANE – REGNO D’ITALIA – VITTORIO EMANUELE III (1900-1945), Pin – distintivo di forma pentagonale della Società Dante Alighieri. Al dritto busto del poeta fiorentino a s. ai lati fasci littori SOC. NAZ. DANTE ALIGHIERI. Al rovescio spilla coeva e scritta del produttore NELLI di Firenze, doppio marchio e titolo del metallo M800 (?). Realizzato in metallo argentato e smalto blu, (22x21mm, 3.4 g.), conservazione SPL. La Società Dante Alighieri è un'istituzione culturale italiana che ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo. Fa parte degli Istituti di cultura nazionali dell'Unione europea (EUNIC). Ideata e proposta a Macerata nel 1888 dall'irredentista triestino Giacomo Venezian, allora docente di diritto in quell'università e poi volontario nella prima guerra mondiale caduto sul Carso, fu fondata nel 1889 da un gruppo d'intellettuali guidati da Giosuè Carducci, che diramarono un «Manifesto agli italiani». Venne eretta in fondazione con Regio Decreto del 18 luglio 1893, n. 347; e con d.l. n. 186 del 27 luglio 2004 è assimilata, per struttura e finalità, alle ONLUS. La storia della Società è intimamente legata all'identità italiana e allo spirito nazionalistico del periodo postrisorgimentale. Nella prima guerra mondiale la Dante si schierò attivamente a favore dell'intervento e si portò nel Ventennio sulle posizioni politico-culturali del fascismo, collaborando strettamente con gli Istituti Fascisti di Cultura. Solo nel dopoguerra la Dante si scrollò di dosso queste eredità e si riavvicinò alla promozione del patrimonio culturale italiano in Italia e nel mondo. Nel 1921 la Società fu promotrice dell'emissione di una serie di francobolli commemorativi del VI Centenario della Morte di Dante Alighieri. Il suo scopo primario, come recita l'articolo 1 dello Statuto sociale, è quello di "tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo, ravvivando i legami spirituali dei connazionali all'estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l'amore e il culto per la civiltà italiana". Per il conseguimento di queste finalità, la Dante Alighieri si affida a quasi 500 comitati, di cui 400 attivi all'estero. I comitati realizzano corsi di lingua italiana e manifestazioni culturali di vario genere, dall'arte figurativa alla musica, dallo sport al cinema, dal teatro alla moda, fino alla letteratura. Per mezzo dei Comitati all'estero, inoltre, la "Dante Alighieri" istituisce scuole, biblioteche, diffonde libri e pubblicazioni, promuove conferenze, escursioni culturali e manifestazioni artistiche e musicali, assegna premi e borse di studio. La sede centrale è a Roma, in Palazzo Firenze.
Lot # 368 - MEDAGLIE ITALIANE – REGNO D’ITALIA – VITTORIO EMANUELE III (1900-1945), Pin-distintivo della Giornata delle Due Croci emesso a ricordo della festa del 1937. A forma di tucul (tipica casa etiope) a lato in vernice rossa, le due croci e scritta AXV sopra GIORNATA DELLE DUE CROCI, all’interno sonaglino. Realizzato in lamierino di Bronzo (AE),( Ø 21mm, 3.6g.), conservazione SPL. Le varie iniziative di aiuto agli ammalati di tubercolosi vennero chiamate “crociate”, in quanto avevano come logo la doppia croce o croce di Lorena, adottata nell’antichità dai crociati nelle battaglie contro gli infedeli. A partire dalla conferenza internazionale sulla tubercolosi di Berlino del 1902, questa croce diventerà il simbolo di tutte le campagne antitubercolari, un immediato segno di riconoscimento che accomunerà tutte le manifestazioni di lotta alla tubercolosi. All’inizio, per aumentare la raccolta fondi in alcune città vennero ideate delle feste : a Roma e a Torino furono chiamate Giornate antitubercolari, mentre a Bergamo fu detta Festa delle Rose. Successivamente sulla scorta di quanto accadeva all’estero anche in Italia venne ripresa la Giornata del Fiore (nata in Svezia nel 1907) e la prima si svolse a Torino nel 1914, su proposta della crociata contro al tbc del 4 luglio 1913. Nel periodo 1915-1921 a causa degli eventi bellici e per la pandemia di Spagnola non si svolse alcun evento. La Festa del fiore riprese nel 1922 e nel 1925 il Ministero dell’Interno decise che la festa avvenisse in un giorno prestabilito da fare coincidere con una ricorrenza oppure una festa memorabile. Nel 1925 aderirono 30 provincie, nel 1926 furono 60 e si decise di festeggiare il 6 giugno (giorno dello Statuto), le provincie divennero 70 nel 1927. Nel 1928 il Duce la estese a tutto il territorio nazionale. In quelle occasioni veniva emesso materiale pubblicitario di vario genere che andava richiesto alla segreteria della Federazione Italiana Nazionale Fascista. Il materiale cartaceo era assai più numeroso di quello metallico. Nonostante gli sforzi la Festa non ebbe grande successo e fu così che nel 1931 si decise di unire la Festa del fiore e la Giornata della Doppia Croce (pubblicizzata con la Croce di Lorena) in una unica festa detta “Giornata del Fiore e della Doppia Croce), da celebrare il giorno di Pasqua. Al fine di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone, dal 1934 al 1940 questa giornata fu indetta insieme a quella della Croce Rossa Italiana, da cui la denominazione “Giornata delle Due Croci”, Durante questa Giornata venivano proposti distintivi con la doppia Croce. Alla raccolta fondi diedero un forte impulso anche le campagne antitubercolari indette annualmente dal Duce dal 1931 al 1940 della durata di 40 giorni, organizzate in 92 provincie e nelle colonie. Le campagne adottarono sia il motto della Federazione Italiana Nazionale Fascista. “Viribus Unitis” sia il simbolo della doppia croce, iniziavano anch’esse nel giorno di Pasqua, ciòè in coincidenza della Giornata delle due Croci e si protraevano fino a Pentecoste, in questo periodo si distribuiva materiale pubblicitario di ogni genere (spille, distintivi, matite, saponette ecc.) acquistati dalla Federazione nel quantitativo voluto e non restituibili e soprattutto veniva promossa la vendita dei famosi chiudilettera. Le campagne ripresero dopo gli eventi bellici a partire del 1949 per chiudersi definitivamente nel 2000. Si tratta di oggetti di facile acquisizione visti i prezzi medi ma vanno a far parte di una interessante collezione storica del nostro Paese.
Lot # 375 - MEDAGLIE ITALIANE – REGNO D’ITALIA – VITTORIO EMANUELE III (1900-1945), VENTENNIO FASCISTA- OPERA BALILLA - ROMA, Placchetta del Raduno Nazionale Dirigenti Insegnanti Scuole Medie. Al dritto tre fasci littori a s., a d. I^ RADVNO NAZ DIRIGENTI INSEGNANTI SCVOLE MEDIE in alto OPERA BALILLA, in basso A.XII ROMA Rovescio liscio. Realizzata in metallo argentato (32x40mm, 16.1g. ). . Conservazione MB . Dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, il nascente regime mussoliniano si pose il problema di come "fascistizzare" la società, a partire dai più giovani: nel dicembre 1925 Mussolini diede all'ex ardito Renato Ricci la guida del movimento giovanile del PNF (l'Avanguardia giovanile fascista) con il compito di "riorganizzare la gioventù dal punto di vista morale e fisico". La legge del 3 aprile 1926, n. 2247  sancì così la nascita dell'Opera nazionale Balilla, come ente autonomo, che Ricci avrebbe diretto fino al 1937. Complementare all'istituzione scolastica, l'ONB era sulla carta "finalizzata... all'assistenza e all'educazione fisica e morale della gioventù". Vi avrebbero fatto parte i giovani dai 6 ai 18 anni, ripartiti in tre sottoistituzioni: i figli della lupa (dai 6 ai 8 anni), i balilla (dai 8 ai 14 anni) e gli avanguardisti (dai 14 ai 18 anni) e mirava non solo all'educazione spirituale, culturale e religiosa, ma anche all'istruzione premilitare, ginnico-sportiva, professionale e tecnica secondo l'ideologia fascista. L'attività dell'ONB ebbe inizio effettivo con l'approvazione dei regolamenti (r. decreto 9 gennaio 1927, n. 6). Nel 1928 il regime fascista sciolse le organizzazioni giovanili non fasciste con i regi decreti 9 gennaio, n. 5 e 9 aprile 1928, n. 696, tra cui le associazioni scout: il Corpo nazionale giovani esploratori italiani (pluriconfessionale) fu sciolto quell'anno; l'Associazione Scautistica Cattolica Italiana (ASCI) fu obbligata a chiudere tutti i reparti nelle località sotto i 20.000 abitanti, prima della chiusura completa; l'Associazione dei ragazzi pionieri italiani (ARPI) cessò volontariamente le attività. Molti scout continuarono a svolgere le proprie attività in clandestinità e parteciparono attivamente alla lotta antifascista. Uno dei principali gruppi che continuarono le attività fu quello delle Aquile randagie a Milano; anche alcuni gruppi scout italiani all'estero proseguirono le loro attività. L'unica organizzazione rimasta attiva fu l'Azione Cattolica Italiana, che dovette comunque limitare le proprie attività al solo ambito catechistico. Rigidamente centralizzata, l'ONB fu sin dalla sua fondazione concepita dai fascisti come uno strumento di penetrazione delle istituzioni nelle scuole: a essa venne affidato l'insegnamento dell'educazione fisica ai ragazzi; presidi e insegnanti erano tenuti ad agevolare le strutture scolastiche alle iniziative dell'ONB e a invitare gli alunni di tutte le età ad aderirvi. L'ONB gestiva anche corsi di formazione e orientamento professionale, corsi post-scolastici per adulti, corsi di puericultura e d'economia domestica per le donne, oltre a migliaia di scuole rurali che nel 1937 erano diventate più di seimila. L'ONB confluì, insieme con i Fasci giovanili di combattimento, nella GIL (Gioventù italiana del littorio) a partire dal 1937.
Lot # 377 - MEDAGLIE ITALIANE – REGNO D’ITALIA – VITTORIO EMANUELE III (1900-1945), VENTENNIO FASCISTA. Spilla della Croce Rossa Italiana emessa per la celebrazione della Giornata della Croce Rossa prima del 1934, Al dritto piuma, fascio littorio e croce rossa in smalto rosso, Al rovescio spilla coeva e nome produttore PICCHIANI FIRENZE.. Realizzato in metallo bianco. (17x15mm, 2g. ). Conservazione BB. RARA Le varie iniziative di aiuto agli ammalati di tubercolosi vennero chiamate “crociate”, in quanto avevano come logo la doppia croce o croce di Lorena, adottata nell’antichità dai crociati nelle battaglie contro gli infedeli. A partire dalla conferenza internazionale sulla tubercolosi di Berlino del 1902, questa croce diventerà il simbolo di tutte le campagne antitubercolari, un immediato segno di riconoscimento che accomunerà tutte le manifestazioni di lotta alla tubercolosi. All’inizio, per aumentare la raccolta fondi in alcune città vennero ideate delle feste : a Roma e a Torino furono chiamate Giornate antitubercolari, mentre a Bergamo fu detta Festa delle Rose. Successivamente sulla scorta di quanto accadeva all’estero anche in Italia venne ripresa la Giornata del Fiore (nata in Svezia nel 1907) e la prima si svolse a Torino nel 1914, su proposta della crociata contro al tbc del 4 luglio 1913. Nel periodo 1915-1921 a causa degli eventi bellici e per la pandemia di Spagnola non si svolse alcun evento. La Festa del fiore riprese nel 1922 e nel 1925 il Ministero dell’Interno decise che la festa avvenisse in un giorno prestabilito da fare coincidere con una ricorrenza oppure una festa memorabile. Nel 1925 aderirono 30 provincie, nel 1926 furono 60 e si decise di festeggiare il 6 giugno (giorno dello Statuto), le provincie divennero 70 nel 1927. Nel 1928 il Duce la estese a tutto il territorio nazionale. In quelle occasioni veniva emesso materiale pubblicitario di vario genere che andava richiesto alla segreteria della Federazione Italiana Nazionale Fascista. Il materiale cartaceo era assai più numeroso di quello metallico. Nonostante gli sforzi la Festa non ebbe grande successo e fu così che nel 1931 si decise di unire la Festa del fiore e la Giornata della Doppia Croce (pubblicizzata con la Croce di Lorena) in una unica festa detta “Giornata del Fiore e della Doppia Croce), da celebrare il giorno di Pasqua. Al fine di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone, dal 1934 al 1940 questa giornata fu indetta insieme a quella della Croce Rossa Italiana, da cui la denominazione “Giornata delle Due Croci”, Durante questa Giornata venivano proposti distintivi con la doppia Croce. Alla raccolta fondi diedero un forte impulso anche le campagne antitubercolari indette annualmente dal Duce dal 1931 al 1940 della durata di 40 giorni, organizzate in 92 provincie e nelle colonie. Le campagne adottarono sia il motto della Federazione Italiana Nazionale Fascista. “Viribus Unitis” sia il simbolo della doppia croce, iniziavano anch’esse nel giorno di Pasqua, ciòè in coincidenza della Giornata delle due Croci e si protraevano fino a Pentecoste, in questo periodo si distribuiva materiale pubblicitario di ogni genere (spille, distintivi, matite, saponette ecc.) acquistati dalla Federazione nel quantitativo voluto e non restituibili e soprattutto veniva promossa la vendita dei famosi chiudilettera. Le campagne ripresero dopo gli eventi bellici a partire del 1949 per chiudersi definitivamente nel 2000. Si tratta di oggetti di facile acquisizione visti i prezzi medi ma vanno a far parte di una interessante collezione storica del nostro Paese.
Lot # 378 - MEDAGLIE ITALIANE – REGNO D’ITALIA – VITTORIO EMANUELE III (1900-1945). EDOARDO BIANCHI “FRECCIA”, distintivo per giacca della ditta Bianchi. Al dritto freccia andante a destra con scritta BIANCHI, Al rovescio nome del produttore FABBRI CONI MILANO. Realizzato in Bronzo dorato (AE) e smalti blu. Dimensioni 36x27 mm. Peso 1.7 g. Conservazione SPL. MOLTO RARO. Edoardo Bianchi nacque a Milano il 17 luglio 1865 da Luigi e da Antonietta Conti, in una famiglia di povere condizioni. Il padre, infatti, nel 1859 aveva avuto distrutto, per rappresaglia all'uccisione di un ufficiale austriaco, il ben avviato negozio di alimentari. Partito poi per la guerra del 1866, era ritornato mutilato di una gamba. Rimasto orfano nel 1869, il B. fu accolto nell'orfanotrofio detto dei "Martinitt"; uscitone a otto anni, età minima consentita per il lavoro dei minori, si occupò presso un artigiano come fabbro ferraio. Da allora, per più di dieci anni, lavorò in varie officine meccaniche milanesi - come quella di Gerosa e Rosati - finché nel 1885 - in via Nirone - mise su una piccola officina di precisione, dove iniziò tra l'altro a rifare per terzi modelli inglesi di bicicli. L'anno seguente il B. produceva biciclette con ruote pressocché dello stesso diametro; nel 1888, nella nuova officina di via Bertani a Porta Tenaglio, costruiva la prima bicicletta con gomme pneumatiche. Nel 1890 si trasferiva nei locali più grandi di via Borghetto, e poco dopo iniziava esperimenti di applicazione del motore a scoppio su tricicli e quadricicli .L'inizio dell'attività industriale del B anche se duro, fu facilitato dalla crescente diffusione della bicicletta. Una solida industria del ciclo, oltre che a Milano, si andava sviluppando anche a Torino e in altre città settentrionali ed emiliane, come Modena. E l'importanza che la produzione e la diffusione della bicicletta assumevano in Italia è confermata proprio in quell'anno dall'istituzione della tassa di circolazione sui velocipedi (legge 22 luglio 1897, n. 318). All'Esposizione internazionale ciclistica di Milano del 1896, il B. presentò pochi modelli, ma con particolarità tecniche e pezzi meccanici "ben ideati meglio costrutti" (La bicicletta). Nel 1897-98 iniziava la costruzione della prima bicicletta a motore. La ditta, che ora ebbe la ragione "E. Bianchi di Milano, Esercizio pel commercio di velocipedi", si sviluppò tanto rapidamente che nel 1900 sede e fabbrica furono trasferite in via Nino Bixio. In questi anni il B. entrava in contatto con l'ambiente industriale piemontese, e con altri industriali come Marzotto di Valdagno, S. Crespi, Florio di Marsala - tutti pionieri dell'automobilismo italiano - e costruiva i primi modelli di autovetture. Secondaria inizialmente, poi sempre più sviluppata, questa nuova attività impose la trasformazione finanziaria e della ragione sociale dell'industria. Il 27marzo 1905 nasceva così la "Società anonima Fabbrica automobili e velocipedi Edoardo Bianchi e C.", con capitale sociale di 800.000 lire suddiviso in 8.000 azioni di 100 lire cadauna, e veniva impiantata la nuova sede in viale Abruzzi. La solidità dell'impresa era confermata, nel 1907, dal superamento della crisi che in quell'anno investiva l'economia italiana, determinando la fine di molte officine sorte grazie alla protezione legislativa italiana. Quello stesso anno il B. era nominato unico consigliere delegato. La Società ebbe negli anni successivi un grande sviluppo, soprattutto nel settore dei velocipedi e dei motocicli, cioè laddove la concorrenza della produzione straniera era stata annullata, e i massicci interventi dello Stato sotto forma di ordinazioni belliche - guerra di Libia e prima guerra mondiale - agivano selettivamente come incentivo allo sviluppo delle industrie meglio avviate. La Società denunciò, per gli esercizi 1916 e 1917, profitti del 60%, e nel 1918 portò il capitale versato a 9 milioni (nel 1914 a 14 milioni, nel 1924 a 30 milioni). D'altra parte, l'improvvisa e violenta incentivazione della produzione bellica provocò forti reazioni da parte degli operai, e la fabbrica fu così uno dei centri delle lotte e dei conflitti sociali a Milano e in Lombardia. In questo periodo e negli anni successivi alla guerra il B. sviluppò soprattutto il ramo produttivo dei cicli e dei motocicli, cioè quello in cui, dopo la crisi del 1907, la Società era rimasta una delle industrie più forti. A tal, fine, anzi, fin dal 1914il B. aveva provveduto a impiantare una piccola fonderia di alluminio che riforniva la grande produzione meccanica. Nel 1928, a più di vent'anni dalla ristrutturazione, la Bianchi produceva solo 900 automobili all'anno - contro le 3.000 della Lancia e le 47.000 della Fiat -, ma il numero di biciclette che immetteva sul mercato era superiore alle 30.000 unità. Nel 1934 la Società, che dava lavoro a 2.500 tra operai, tecnici e impiegati, raggiunse la produzione complessiva di 50.000 biciclette (più del 60% della produzione della ditta), 2.000 automobili e 4.000 motociclette. Tuttavia a lungo andare la scelta produttiva del B. (rimasto fino alla morte presidente e consigliere delegato della Società), positiva per i primi due o tre decenni del secolo, doveva rivelarsi una remora allo sviluppo successivo. Mentre la Bianchi dava grande impulso alla diffusione del ciclo e del motociclo, il progressivo espandersi dell'industria automobilistica impose al B. scelte limitative in questo ramo, indirizzandolo cioè ad una produzione automobilistica non di massa. La seconda guerra mondiale segnò l'inizio del declino delle fortune del B.; pochi mesi prima dell'entrata in guerra dell'Italia, la società aveva provveduto ad aumentare il capitale a 56 milioni mediante una emissione di azioni. Nel 1943 le totali distruzioni belliche provocarono il trasferimento a Desio di alcune lavorazioni; l'anno seguente moriva Giuseppe Tomaselli, braccio destro del B. fin dal 1905. Il B. morì poco dopo la fine della guerra, il 2 luglio 1946, a Varese, quando si era appena delineata un'operazione finanziaria di salvataggio, mediante l'emissione di azioni per l'aumento del capitale a 112 milioni. Dopo l'iniziale costruzione di bicicli del 1885 il B. realizzò, l'anno seguente, un modello assai pratico e moderno, con ruota anteriore di diametro inferiore e telaio a croce. Col 1888 cominciò la produzione di biciclette, a telaio trapezoidale, sterzo tubolare, gomme pneumatiche. Dall'allargamento della ditta, nel 1890, la fabbricazione di biciclette, via via articolata in numerosi modelli sui due tipi fondamentali "viaggio" e "sport", fu sempre particolarmente curata, negli ammodernamenti tecnici e nelle finiture, e costituì, con la fabbricazione di motociclette, la scelta produttiva di base della ditta. Al 1897 risale il primo tentativo di applicazione - sul manubrio - del motore alla bicicletta (monocilindrico, valvola di aspirazione automatica, trasmissione a catena, accensione a chalumeau), cui seguirono dal 1900 nel nuovo stabilimento di via Bixio motocicli ad accensione con rocchetto di Rumkorf e batterie ad interruttore. Risale al 1914 il modello C 75 (monocilindrico, 500 cmc, cambio in blocco a tre velocità), di particolare robustezza e durata; prodotto in gran serie, equipaggiò largamente l'esercito italiano in guerra; al 1919 risale il modello 250 cmc, che venne dapprima prodotto nella versione a valvole laterali e successivamente nella versione a valvole in testa. Completata la riorganizzazione del dopoguerra, entrarono in produzione il modello A (monocilindrico, 498 cmc, cambio ad ingranaggi); il modello G (bicilindrico, 650 cmc, trasmissione mista a catena e ingranaggi, cambio a tre velocità, ruote intercambiabili); il modello BN che segnava, con tutta una serie di nuove concezioni e accorgimenti, l'evoluzione verso le cilindrate minori ad alto rendimento, elevata velocità e grande potenza: monocilindrico, 348 cmc, magnete ad alta tensione,carter in blocco unico, cambio in blocco a tre velocità, valvole laterali, trasmissione a catena, aumentata superficie delle alette di raffreddamento, telaio molto basso, forcella elastica a parallelogramma con due molle centrali. Nel 1925 uscì il modello B2N (indicato anche col nome di "Freccia celeste") nelle versioni "normale" e "sport"; fra i miglioramenti: la nuova distribuzione (valvole in testa, a doppia asta), due ammortizzatori a frizione regolabili aggiunti al parallelogramma della forcella, freni ad espansione. Usciva anche il modello P 175 (monocilindrico, 171 cmc, valvole in testa, due velocità), particolarmente maneggevole, veloce, economico (peso 45 kg; velocità 70-75 km/h, consumo 45 km 1 litro di benzina). I modelli B2N e P 175 rappresentarono per la ditta un particolare successo commerciale, sì da assorbire, negli anni 1927-28, la quasi totale produzione settoriale della casa; ulteriore incremento al secondo modello fu dato dalla legge 2 dic. 1928 n. 3179, che equiparava a quello delle biciclette il trattamento fiscale dei motocicli di cilindrata fino a 175 cmc. Una particolare svolta, per velocità, stabilità,comfort, potenza e economia, fu segnata con la comparsa dei vari modelli detti "Freccia d'oro", tutti con telaio elastico e valvole in testa. Sino alla seconda guerra mondiale furono prodotti i modelli 250 N (a tre rapporti) e 250 S (a quattro rapporti) e quelli 500 N, 500 S, 500 SS (a quattro rapporti). La prima autovettura fu prodotta nel 1899, propulsa da un motore De Dion da 3 e 1/4 HP. L'anno successivo erano in produzione tricicli da 2 e 1/4 HP, quadricicli a sterzo snodato da 2 e 1/2 HP, vetturelle a due posti del peso di 175 kg e vetture a tre posti del peso di 300 kg con motore della potenza di 4 HP. Nel 1903 vennero costruite autovetture da 4 e 1/2 HP a un cilindro, da 6 HP, da 8 HP, da 10 HP, e da 12 HP a 4 cilindri. Nel 1905 venne immessa in commercio un'automobile con chassis del peso di 680 kg, propulsa da un motore a 4 cilindri separati della potenza di 12 HP a 1350 giri al minuto; tra le particolarità del motore erano: tre supporti di banco, ventilatore sul volano, radiatore a nido d'ape, carburatore automatico a livello costante, magnete Simms-Bosch, oliatore a pressione, frizione a dischi metallici; la vettura era dotata di freni a pedale sul differenziale, di freni a leva sulle ruote posteriori, di cambio a quattro marce più la retromarcia. Al Salone di Torino del 1906 la Bianchi presentò le autovetture tipo C (cilindrata cmc 4137, versioni 18 e 24 HP) e tipo D (cilindrata cmc 6720, versioni 28 e 40 HP) oltre ad autotelai nelle versioni 16 e 24 HP, 28 e 40 HP, 50 e 70 HP. I motori delle autovetture erano tutti quadricilindrici biblocco, con regime di 1200 giri al minuto e frizione a dischi in olio, mentre quelli degli autotelai avevano un numero di giri massimo di 1350 giri al minuto, 4 cilindri accoppiati, frizione a dischi, freno a mano sulle ruote posteriori e sul differenziale, freno a pedale sul differenziale. Tutti i veicoli erano dotati di cambio a quattro velocità più la retromarcia. Nel 1906 fu prodotto il tipo EI nelle versioni 50 e 60 HP. Durante la prima guerra mondiale vennero prodotti i modelli B 1 (1914) e B 2 (1916), nelle due versioni 18 e 30 HP (il primo) e 3 e 35 HP (il secondo) al regime di 2200 giri al minuto. Il primo modello aveva motore monoblocco a quattro cilindri verticali di 3296 cmc; il secondo modello aveva maggiorato l'alesaggio (3672 cmc). Entrambi i tipi di autovetture avevano un cambio che consentiva quattro marce, più la retromarcia, e frizione a dischi multipli in olio. Al periodo tra le due guerre mondiali appartengono le autovetture tipo 15 (anni 1920-22, 4 cilindri 70 × 110), tipo 16 (anni 1923-24, stessa cilindrata del tipo 15), tipo 18 (anni 1923-26, 4 cilindri 72 × 120), tipo 20 (entrata in produzione nel 1924, 4 cilindri 78 × 120), modello V 3 (entrato in produzione nel 1928, 8 cilindri 68 × 94), V 8 (entrato in produzione nel 1929, della stessa cilindrata del modello V 3), S 4 (anni 1925-27, 4 cilindri 64 × 100), S 5 (anni 1927-34, della stessa cilindrata del modello S 4 sino al 1931, poi con 4 cilindri 68 × 100), S 8 (anni 1931-34, 8 cilindri 68 × 100) modificato nel modello S 8 bis con cilindrata leggermente maggiorata (8 cilindri 68,5 × 100), ed infine S 9 (anni 1934-39, 4 cilindri 68 × 100). Infine va ricordata l'attività sportiva che la casa intraprese - con notevoli successi, e conseguente diffusione della marca - nei tre settori della sua produzione. L'attività fu però ben presto limitata al settore motociclistico e ciclistico, e da ultimo solo a questo secondo.
Lot # 400 - MEDAGLIE ITALIANE – REPUBBLICA ITALIANA (1946) - 1 RGT. GRANATIERI DI SARDEGNA; medaglia rettangolare. Al dritto stemma centrale del reparto in alto GRANATIERI CARLO EMANUELE II DI SAVOIA 1659 CCCXVI DI LEVA . Al rovescio bombarda fiammeggiante con numero e scritta A ME LE GUARDIE. Realizzata in bronzo (AE). (51x30mm, 26g.). Conservazione SPL.. Il 1º Reggimento "Granatieri di Sardegna" è un reggimento di fanteria dell'Esercito Italiano. Esso è inquadrato nella Brigata meccanizzata "Granatieri di Sardegna" ed ha sede a Roma, presso la caserma "M.d.O. A. Gandin" (nel luogo in cui è situato il forte Pietralata, presso l'omonimo quartiere di Roma). Discende dalla Brigata Guardie costituita a seguito del riordino dell'Arma di Fanteria previsto dall'ordinamento del 25 ottobre 1831 e formata con il 1º Reggimento Granatieri (in vita dal 18 aprile 1659) ed il Reggimento Cacciatori (costituito il 13 luglio 1774). Con decreto 20 aprile 1850, la Brigata prende il nome di Brigata Granatieri, composta dal 1º e 2º Reggimento Granatieri conservando la precedenza sulle altre Brigate di Fanteria. Nel novembre 1852 la brigata ha assorbito le compagnie del disciolto Reggimento "Cacciatori di Sardegna", assumendo la denominazione di Brigata "Granatieri di Sardegna". Sciolta il 25 ottobre 1871, unitamente alle altre brigate permanenti, la brigata venne ricostituita il 2 gennaio 1881 con la precedente denominazione (Brigata "Granatieri di Sardegna") riunendo ancora il 1º e 2º Reggimento Granatieri. In esecuzione della legge 11 marzo 1926 sull'ordinamento dell'Esercito, che prevede la costituzione delle Brigate su tre reggimenti, inquadra anche il 3º Reggimento "Granatieri di Sardegna" (costituito il 1º dicembre 1926) e prende il nome di XXI Brigata di Fanteria. Assegnata, assieme al 13º Reggimento Artiglieria, alla 21ª Divisione Militare Territoriale di Roma a seguito del decreto 8 febbraio 1934 la Brigata diviene Divisione di Fanteria "Granatieri di Sardegna". Con la formazione delle divisioni binarie, nel 1939 la grande unità inquadra ancora il 1º e 2º Reggimento "Granatieri di Sardegna" ed il 13º Reggimento Artiglieria per Divisione di Fanteria ed aggiunge al proprio nominativo il numerico (21ª). L'8 settembre 1943, alla proclamazione dell'armistizio, la Divisione, che è alle dipendenze del Corpo d'Armata Motocorazzato, ha le proprie unità schierate nella zona sud di Roma, a protezione delle vie d'accesso alla Capitale. La reazione agli attacchi portati dalle forze tedesche si sviluppa particolarmente a cavallo della via Ostiense ed ha termine solo la sera del 10 settembre 1943, data sotto la quale la Divisione viene considerata sciolta. Il 15 maggio 1944 è nuovamente in vita, in Sardegna, quale Divisione Granatieri, per trasformazione del Raggruppamento Granatieri. È costituita da 1º e 2º Reggimento Granatieri, dal 32º e 132º Reggimento Fanteria Carrista, dal 553º e 548º Reggimento Artiglieria (quest'ultimo sostituito il successivo 14 luglio dal 507º Reggimento, formato per trasformazione del 7º Reggimento di C.A.), dalla 205ª compagnia mista del genio e da elementi dei servizi. Nella prima decade di agosto i due reggimenti granatieri sono inviati sul continente e passano alle dipendenze della Divisione "Friuli". Con il personale della divisione, sciolta in data 31 agosto dello stesso 1944, vengono formati il 1º e 2º Reggimento Guardie mentre aliquote di personale qualificato sono cedute alla Divisione "Cremona". La grande unità viene ricostituita il 1º aprile 1948 in Roma quale Divisione di Fanteria "Granatieri di Sardegna" con il 1º Reggimento Granatieri, il 17º Reggimento Fanteria "Acqui", il 13º Reggimento Artiglieria da Campagna ai quali si uniscono nel 1951 un Battaglione Genio Pionieri e nel 1959 il 1º Reggimento Bersaglieri Corazzato; tale rimane sino al 1º novembre 1976 allorché, nel quadro della ristrutturazione dell'Esercito viene contratta a Brigata Meccanizzata "Granatieri di Sardegna" e nella stessa confluiscono varie unità che danno vita ai Battaglioni Granatieri 1° "Assietta", 2° "Cengio" e 3° "Guardie", al 1º Battaglione Bersaglieri "La Marmora", al 6º Battaglione Carri "M.O. Scapuzzi", al 13º Gruppo Artiglieria da Campagna "Magliana" ed al Battaglione Logistico "Granatieri di Sardegna". Ne fanno parte anche il Reparto Comando e Trasmissioni ed una compagnia controcarri. Il motto a me le guardie deriva dal grido lanciato dal duca di Savoia ai Granatieri che il 30 maggio 1848 si lanciarono in un corpo a corpo contro gli austriaci a Goito, nel corso della prima guerra d'Indipendenza.
Lot # 401 - MEDAGLIE ITALIANE – REPUBBLICA ITALIANA (1946) - 1 RGT. GRANATIERI DI SARDEGNA; Spilla con al dritto stemma centrale del reparto retto da due leoni a s. e a d. in alto sun un festone la scritta A ME LE GUARDIE. Al rovescio liscio con punzoni su uno e scritto 800, l’latro è illeggibile. Realizzata in argento (AG) (36x31mm, 11g.).. Conservazione SPL. Il 1º Reggimento "Granatieri di Sardegna" è un reggimento di fanteria dell'Esercito Italiano. Esso è inquadrato nella Brigata meccanizzata "Granatieri di Sardegna" ed ha sede a Roma, presso la caserma "M.d.O. A. Gandin" (nel luogo in cui è situato il forte Pietralata, presso l'omonimo quartiere di Roma). Discende dalla Brigata Guardie costituita a seguito del riordino dell'Arma di Fanteria previsto dall'ordinamento del 25 ottobre 1831 e formata con il 1º Reggimento Granatieri (in vita dal 18 aprile 1659) ed il Reggimento Cacciatori (costituito il 13 luglio 1774). Con decreto 20 aprile 1850, la Brigata prende il nome di Brigata Granatieri, composta dal 1º e 2º Reggimento Granatieri conservando la precedenza sulle altre Brigate di Fanteria. Nel novembre 1852 la brigata ha assorbito le compagnie del disciolto Reggimento "Cacciatori di Sardegna", assumendo la denominazione di Brigata "Granatieri di Sardegna". Sciolta il 25 ottobre 1871, unitamente alle altre brigate permanenti, la brigata venne ricostituita il 2 gennaio 1881 con la precedente denominazione (Brigata "Granatieri di Sardegna") riunendo ancora il 1º e 2º Reggimento Granatieri. In esecuzione della legge 11 marzo 1926 sull'ordinamento dell'Esercito, che prevede la costituzione delle Brigate su tre reggimenti, inquadra anche il 3º Reggimento "Granatieri di Sardegna" (costituito il 1º dicembre 1926) e prende il nome di XXI Brigata di Fanteria. Assegnata, assieme al 13º Reggimento Artiglieria, alla 21ª Divisione Militare Territoriale di Roma a seguito del decreto 8 febbraio 1934 la Brigata diviene Divisione di Fanteria "Granatieri di Sardegna". Con la formazione delle divisioni binarie, nel 1939 la grande unità inquadra ancora il 1º e 2º Reggimento "Granatieri di Sardegna" ed il 13º Reggimento Artiglieria per Divisione di Fanteria ed aggiunge al proprio nominativo il numerico (21ª). L'8 settembre 1943, alla proclamazione dell'armistizio, la Divisione, che è alle dipendenze del Corpo d'Armata Motocorazzato, ha le proprie unità schierate nella zona sud di Roma, a protezione delle vie d'accesso alla Capitale. La reazione agli attacchi portati dalle forze tedesche si sviluppa particolarmente a cavallo della via Ostiense ed ha termine solo la sera del 10 settembre 1943, data sotto la quale la Divisione viene considerata sciolta. Il 15 maggio 1944 è nuovamente in vita, in Sardegna, quale Divisione Granatieri, per trasformazione del Raggruppamento Granatieri. È costituita da 1º e 2º Reggimento Granatieri, dal 32º e 132º Reggimento Fanteria Carrista, dal 553º e 548º Reggimento Artiglieria (quest'ultimo sostituito il successivo 14 luglio dal 507º Reggimento, formato per trasformazione del 7º Reggimento di C.A.), dalla 205ª compagnia mista del genio e da elementi dei servizi. Nella prima decade di agosto i due reggimenti granatieri sono inviati sul continente e passano alle dipendenze della Divisione "Friuli". Con il personale della divisione, sciolta in data 31 agosto dello stesso 1944, vengono formati il 1º e 2º Reggimento Guardie mentre aliquote di personale qualificato sono cedute alla Divisione "Cremona". La grande unità viene ricostituita il 1º aprile 1948 in Roma quale Divisione di Fanteria "Granatieri di Sardegna" con il 1º Reggimento Granatieri, il 17º Reggimento Fanteria "Acqui", il 13º Reggimento Artiglieria da Campagna ai quali si uniscono nel 1951 un Battaglione Genio Pionieri e nel 1959 il 1º Reggimento Bersaglieri Corazzato; tale rimane sino al 1º novembre 1976 allorché, nel quadro della ristrutturazione dell'Esercito viene contratta a Brigata Meccanizzata "Granatieri di Sardegna" e nella stessa confluiscono varie unità che danno vita ai Battaglioni Granatieri 1° "Assietta", 2° "Cengio" e 3° "Guardie", al 1º Battaglione Bersaglieri "La Marmora", al 6º Battaglione Carri "M.O. Scapuzzi", al 13º Gruppo Artiglieria da Campagna "Magliana" ed al Battaglione Logistico "Granatieri di Sardegna". Ne fanno parte anche il Reparto Comando e Trasmissioni ed una compagnia controcarri. Il motto a me le guardie deriva dal grido lanciato dal duca di Savoia ai Granatieri che il 30 maggio 1848 si lanciarono in un corpo a corpo contro gli austriaci a Goito, nel corso della prima guerra d'Indipendenza.
Lot # 402 - MEDAGLIE ITALIANE – REPUBBLICA ITALIANA (1946) - 5 RGT. LANCIERI DI NOVARA, Spilla a forma di aquila con stemma sul petto in basso festone con scritta ALBIS ARDUA. Al rovescio liscio con spilla e punzone 825. Realizzata in argento e smalti colorati. (30x25mm, 7.8g.). . Conservazione SPL. Costituito il 24 dicembre 1828 come Reggimento Dragoni di Piemonte, assume l'attuale denominazione il 3 gennaio 1832. Inquadrato nell'Armata Sarda combatte nella I Guerra d'Indipendenza (1848-49), in Crimea (1855-56) col 1° Squadrone e nella Seconda Guerra d'Indipendenza (1859). Inserito nell'Esercito Italiano, partecipa alla Campagna del 1860-61 nel centro e meridione d'Italia. Nel 1866 è a Custoza (III Guerra d'Indipendenza) e nel 1870 partecipa alle operazioni per la presa di Roma. Mobilita, a più riprese, personale per la campagna di Eritrea negli anni 1887-88 e 1895-96. Invia personale alla Campagna di Libia nel 1911-12 e dal 1916 partecipa alla 1^ Guerra Mondiale combattendo nell'epica battaglia di Pozzuolo del Friuli (29 e 30 ottobre 1917) e Vittorio Veneto nel 1918. Nel 1935 dà vita al 12° squadrone carri veloci che viene inviato in Eritrea. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il Reggimento partecipa alle operazioni alla fronte occidentale alpina, quindi, inquadrato nella Divisione Celere "Principe Amedeo Duca D'Aosta" partecipa nel 1941 alla campagna di Jugoslavia e nel 42- 43 alla Campagna di Russia. Rientrato decimato dal teatro operativo, viene colto dall'armistizio in fase di riordinamento in Emilia. Viene ricostituito il 1° settembre 1946 a Coverciano (FI) come Gruppo Esplorante 5° Lancieri e subito trasferito a Codroipo (1° febbraio 1949) sede che mantiene fino ai nostri giorni. Inquadrato nella Brigata di Cavalleria "Pozzuolo del Friuli", segue le vicende della Grande Unità passando da Gruppo Squadroni a Reggimento per due volte e dal 5 settembre 1992 viene riordinato in Reggimento "Lancieri di Novara" (5°). Prime missioni cui ha preso parte sono state l'Operazione "Vespri Siciliani" nel 1992 e 1993 e l'Operazione "Restore Hope" in Somalia nel 1994. Per l'elevata professionalità e l'altissimo senso del dovere e della responsabilità mostrate in Somalia, al Reggimento è stato tributato un Encomio Solenne da parte del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Successivamente, il Reggimento è stato impiegato in Bosnia, FYROM (Macedonia), Kosovo, Iraq, Libano, Afghanistan e Sudan.
Lot # 405 - MEDAGLIE ITALIANE – REPUBBLICA ITALIANA (DAL 1946 ) Medaglia Estremamente rara (RRRR), emessa in soli 30 esemplari, ad opera di Tommaso Gismondi. Emessa nel 1976 per i 200 anni della fondazione degli Stati Uniti d’America (USA). Al dritto un cavallo rampante a s/, nel campo in basso a s/ ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE CAVALIERI D’EUROPA, in alto a d/ la scritta GISMONDI. Al r/ aquila ad ali spiegate su fondo stellato su nastro la scritta E PLURIBUS UNUM in esergo stemma USA, in esergo a s/ STATI UNITI D’AMERICA in esergo a d/ 1776 1976. Contorno liscio. Realizzata in Bronzo (AE) fuso, ø 93mm, peso gr. 278, Conservazione FDC. La medaglia è immersa in un blocco di plexiglass dalle dimensioni (143x140x28mm). Tommaso Gismondi (Anagni, 28 agosto 1906 – Anagni, 26 aprile 2003) è stato uno scultore italiano. Primogenito di quattro fratelli, Tommaso nacque ad Anagni nel 1906 da Carlo Gismondi e da Angela Ferretti, ma si trasferì da ragazzo con la famiglia a Roma. Nel dopoguerra andò a Buenos Aires in Argentina, per poi tornare nella natìa Anagni sul finire degli anni Cinquanta. Divenne noto come «lo scultore del Papa» per le opere realizzate su commissione di papa Paolo VI e di papa Giovanni Paolo II: alcune delle sue opere più famose sono le porte della Biblioteca Vaticana e dell'Archivio Segreto Vaticano (1985), alcuni bronzi della basilica di San Pietro, la cattedra di Giovanni Paolo II e la Via Crucis. Fu anche apprezzato bozzettista di monete del Vaticano e dell'Italia.