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Lot # 787 - MEDAGLIE ITALIANE – REGNO D'ITALIA - VENTENNIO FASCISTA – ROBERTO FARINACCI – CREMONA – RAS – ISERNIA - RARO. Medaglione, non portativo, realizzato nel 1927 dall’Accademia d’armi di Cremona in omaggio a Roberto Farinacci (1892-1945), fondatore della rivista “Cremona Nuova” e detto il Ras di Cremona. Al dritto il busto a s. di Farinacci, nel campo ON.R. FARINACCI a d. BERTONI INC. MONTI R.M. Al rovescio nel campo ACCADEMIA D’ARMI CREMONA GIVGNO LVGLIO 1927 ANNO V. Realizzato in bronzo (AE) (Ø 63mm, 84g.). Conservazione BB/SPL. Opus Francesco Riccardo Monti. Riferimenti Casolari V-97. Raro. Nacque il 16 ott. 1892 a Isernia da Michele e da Amelia Scognamiglio. Rimase nella città molisana fino all'età di otto anni, poi al seguito del padre, commissario di polizia, la sua famiglia dovette trasferirsi prima a Tortona (Alessandria) e quindi a Cremona. Anche a causa di questi spostamenti il F. frequentò in modo discontinuo e con scarso profitto la scuola e nel 1909 abbandonò gli studi. Venne subito assunto come assistente operatore al telegrafo presso le Ferrovie dello Stato, prima a Piacenza e poi a Cremona. Insieme con questa occupazione, che, almeno formalmente, mantenne per dodici anni, cominciò a svolgere attività politica al seguito di Leonida Bissolati, deputato cremonese e tra i capi dell'ala riformista del Partito socialista italiano. Il F. si impegnò attivamente nell'organizzazione sindacale dei contadini cremonesi e nella polemica politica sulle pagine del settimanale socialista locale L'Eco del popolo. Uno dei suoi bersagli preferiti era Guido Miglioli, deputato ed organizzatore delle leghe contadine cattoliche nella vicina Soresina. Come tutti i socialriforimisti il F. fu favorevole, nel 1914, all'entrata in guerra dell'Italia, ma nell'agitazione interventista ebbe modo di distinguersi per il particolare impeto che sfociava spesso nello scontro con gli avversari, cattolici e socialisti. Animatore del foglio interventista La Squilla, divenne allora corrispondente da Cremona del Popolo d'Italia, appena fondato da Benito Mussolini. Ebbe così luogo il primo incontro tra due personaggi le cui vicende saranno fortemente intrecciate per oltre trent'anni. Alla fine del 1915 il F. si arruolò nell'esercito, dove raggiunse il grado di caporale ed ottenne una croce militare. Congedato, all'inizio del 1917. per poter riprendere servizio nelle Ferrovie, colse l'occasione del suo ritorno a Cremona per rinnovare gli attacchi agli esponenti locali cattolici e socialisti. Dovette per questo subire qualche processo, ma poiché veniva regolarmente assolto, ne beneficiò in termini di pubblicità e di potere. Finita la guerra, risultava già un uomo molto potente nella sua città, ancora formalmente legato a Bissolati, ma ormai sempre più allineato con le posizioni di Mussolini. La rottura definitiva col socialismo riformista e l'approdo sulla sponda mussoliniana avvenne nel gennaio 1919, appena in tempo per consentire al F. di essere tra coloro che il 23 marzo si ritrovarono a Milano, al fianco di Mussolini, all'atto della fondazione dei Fasci di combattimento. Il F. profuse subito un grande impegno nel mettere in piedi l'organizzazione fascista nel Cremonese e acquisire aderenti al nuovo movimento, non risparmiando il ricorso alla coercizione e alla violenza. In aprile costituì il fascio locale, di cui divenne segretario politico, raccogliendo proseliti soprattutto tra i ferrovieri. In settembre Mussolini lo nominò membro del comitato centrale dei Fasci di combattimento, che avevano ormai a Cremona uno dei maggiori punti di forza. Con la trasformazione de La Squilla prima nella Voce del popolo sovrano e poi nella Voce del fascismo cremonese ilF. diede maggiore impulso alla propria ascesa politica. Avendo stabilito proficui rapporti con agrari e industriali locali, dei cui interessi lo squadrismo fascista si ergeva a tutore, era ormai in condizione di poter fare a meno dello stipendio. Nel 1921 si dimise perciò dalle Ferrovie, alle quali, specie negli ultimi tempi, non aveva certo prestato la sua opera di dipendente. Aveva invece trovato tempo e modo di recuperare i propri ritardi scolastici, conseguendo, grazie anche a tini disposizione favorevole agli ex combattenti, la licenza liceale. Iscrittosi quindi alla facoltà di legge dell'università di Modena, conseguì la laurea nel 1923, presentando una tesi completamente copiata da quella di un altro candidato (cfr. Fornari, 1980, p. 223. Il 15 maggio 1921, al termine di una campagna elettorale condotta all'insegna della violenza, il F. venne eletto deputato per il collegio di Mantova-Cremona. Anche alla Camera ebbe modo di segnalarsi per l'indole violenta e le aggressioni agli oppositori del fascismo. Nel maggio 1922 dovette tuttavia abbandonare il seggio parlamentare poiché, non avendo egli l'età minima richiesta di 30 anni, la sua elezione venne invalidata. Nei momenti cruciali tra lo scatenarnento dello squadrismo armato e la marcia su Roma il F. svolse un ruolo di primo piano in seno al movimento fascista. Già allora cominciarono ad affiorare alcune divergenze tra la strategia perseguita da Mussolini e la posizione del Farinacci. Mentre Mussolini usava lo squadrismo come arma di pressione per contare di più nel gioco politico, il F. e gli altri cosiddetti ras locali - il cui potere derivava dal disporre di una propria forza armata - erano recalcitranti a seguire Mussolini sulla strada del compromesso politico, come fu il patto di pacificazione del 30 ag. 1921 tra fascisti e socialisti. Quando, nel novembre dello stesso anno, il movimento si trasformò in Partito nazionale fascista (PNF) il F., considerato un incontrollabile elemento di disturbo, venne escluso dalle cariche dirigenti. La piega presa dagli avvenimenti gli offrì tuttavia l'occasione per riguadagnare le posizioni perdute. La nuova ondata di imprese squadristiche, scatenatasi nell'estate del 1922, ebbe nel F. uno dei maggiori protagonisti. Additando dalle pagine del nuovo quotidiano Cremona nuova i bersagli da colpire, ebbe in poco tempo il controllo di tutta la provincia. Dopo aver costretto il Consiglio comunale a sciogliersi si proclamò sindaco di Cremona, quando tutte le altre amministrazioni locali della zona erano già in mano fascista. Le capacità mostrate in questo genere di imprese ne fecero l'uomo più indicato a ricoprire la carica di console generale dell'appena costituita milizia fascista. Dopo aver guidato con altri capi fascisti l'occupazione di Trento e Bolzano, il 28 ottobre, mentre era in atto la marcia su Roma, il F. esautorava l'esercito ed assumeva il comando di Cremona. La nomina di Mussolini a capo del governo ed il rientro nei ranghi della milizia imposero al F. un periodo di relativa inattività, pur restando sempre vigile contro quelle che egli riteneva concessioni agli avversari. Era ormai chiaro a questo proposito il dissenso tra Mussolini e il F.: mentre il primo mirava a consolidare il potere "inserendo gradatamente i fascisti negli organi governativi nazionali", il secondo pensava invece che la missione del fascismo fosse "l'immediata e violenta imposizione al paese delle scelte politiche formulate da un'élite dominante. Il partito nazionale fascista, secondo Farinacci, doveva essere non uno dei tanti partiti che cooperavano all'amministrazione dello Stato, ma lo Stato in quanto tale, con gli squadristi come braccio militare (Fornari, 1972, p. 88). Quando nell'estate del 1923 Mussolini riorganizzò la milizia, trasferendone il controllo dal partito al governo, il F. reagì in modo platealmente duro, minacciando coloro che "si servono e non servono il fascismo" (Cremonanuova, 18 sett. 1923) e annunciando le proprie dimissioni dalla milizia. Solo la minaccia di Mussolini di farlo arrestare per "insubordinazione e ammutinamento" lo costrinse a recedere. Non per questo egli venne meno al compito, che si era attribuito, di intransigente tutore della "purezza" fascista. "A Mussolini sarebbe piaciuto moltissimo tenere Farinacci lontano dalle posizioni politiche di maggior prestigio: il ras di Cremona non soltanto era irrefrenabile, ma aveva anche un notevole seguito tra gli attivisti fascisti più intransigenti, di cui era di fatto, se non ufficialmente, il capo. Fu per questo che Mussolini, pur tenendolo fuori dal governo, dovette nominarlo membro dei Gran Consiglio del fascismo, creato nel 1922" (Fornari, 1972, p. 88). Un'altra occasione di scontro con Mussolini fu offerta al F. dalla nuova legge elettorale in vista delle elezioni del 1924. A quell'appuntamento Mussolini intendeva giungere presentando il fascismo come espressione di uno schieramento sociale maggioritario, nel quale, accanto ai fascisti "puri", trovavano posto esponenti di altre tendenze, come cattolici e liberali di destra. Il F., contrario a tali aperture, avversò la modifica della legge elettorale, ma dovette un'altra volta piegarsi al volere di Mussolini. In occasione delle elezioni del 6 apr. 1924 fu peraltro rieletto alla Camera come deputato della Lombardia. Fu la crisi determinata dal caso Matteotti a rilanciare politicamente il F. facendolo assurgere ai vertici del partito. Di fronte alla secessione dell'Aventino e alle incertezze di Mussolini nel venir fuori da una difficile situazione, egli invocava la massima durezza nella repressione degli antifascisti. Poiché ostentava questa sua divergenza con Mussolini, sembrò ch'egli mirasse a prenderne il posto. Smentendo intenzioni del genere il F. confermava, su Cremona nuova del 31 dic. 1924, la sostanza delle sue posizioni: "la nostra fedeltà è stata duramente provata, perciò potremo anche dire al duce che il fascismo non approva la politica rinunciataria di questi ultimi anni". Quando, con il discorso del 3 genn. 1925, Mussolini imboccò la strada indicata dal F., sembrò naturale che questi fosse chiamato ad assumere maggiori responsabilità: il 12 febbraio Mussolini decise di affidare il partito nelle mani di un segretario generale e il prescelto per la carica fu appunto Farinacci. Nell'assumere l'incarico, il 23 febbraio, il F. proclamò tra i suoi obiettivi la "purificazione" del partito e la fascistizzazione di tutti i settori della società italiana. "Sotto il profilo dei rapporti Mussolini-Farinacci non fu una collaborazione facile, né senza attriti. Su troppi punti i due uomini miravano ad obiettivi radicalmente o parzialmente diversi. Più di una volta Farinacci riuscì ad imporre il proprio punto di vista, caldeggiando nei suoi discorsi e dalle colonne di Cremona nuova soluzioni che Mussolini avrebbe poi fatto proprie al governo" (De Felice, 1968, p. 55). Durante i tredici mesi del segretariato del F. si verificò una dicotomia ai vertici del fascismo, cui corrispondevano diversi settori sociali. Nella politica di Mussolini si ritrovavano la monarchia, le forze armate, il mondo industriale e finanziario, la media ed alta borghesia. All'intransigentismo del F. guardavano con simpatia strati di piccola borghesia oltre alle frange minoritarie ma estremamente attive di squadristi, cui venne dato nuovamente spazio. La politica normalizzatrice di Mussolini mal si conciliava con la ripresa dello squadrismo e con "alcune prese di posizione più violente e intransigenti di Farinacci che rischiavano di compromettere gli sforzi di Mussolini per legare a sé i fiancheggiatori e ricucire nell'opinione pubblica e nella classe politica le lacerazioni dei mesi precedenti" (De Felice, 1968, pp. 61 s.). Il F. si muoveva invece in direzione opposta, alimentando forti polemiche con la Chiesa e giungendo ad affermare che il delitto Matteotti aveva rafforzato il fascismo. Proprio al termine del processo per quell'omicidio politico, nel quale il F. aveva assunto la difesa di Amerigo Dumini, venne, nel marzo 1926, il momento della resa dei conti tra il F. e Mussolini. Questi costrinse il F. a presentare le dimissioni, accolte dal Gran Consiglio il 30 marzo. "Mussolini non solo non avrebbe più affidato a Farinacci, dopo il suo allontanamento dalla segreteria del Pnf, alcun incarico politico di rilievo (né nel partito né nel governo), ma avrebbe cercato a più riprese di distruggerlo politicamente e, addirittura, di farlo espellere dal partito (senza per altro riuscirvi, dato il prestigio che il ras di Cremona continuò a godere tra i vecchi fascisti e dato che il suo dissenso si basava su fatti difficilmente contestabili in toto); quanto a Farinacci, basterà dire che egli sarebbe finito per diventare il punto di riferimento di gran parte degli oppositori interni al regime, sia di quelli di "destra" sia di quelli di "sinistra", e avrebbe finito per assumere così il ruolo di loro interprete politico: l'"altro" che, bene o male, non poteva essere ignorato" (De Felice, 1968, p. 65). Anche dopo la degradazione il F. continuò dunque a svolgere il ruolo di difensore dell'ortodossia fascista, non rinunciando mai a far conoscere il suo più o meno aperto dissenso. Disponeva, dopo la trasformazione di Cremona nuova in Regime fascista, di un organo di stampa a livello nazionale, mentre a Cremona il suo potere non risultava minimamente scalfito. Fu direttore della Cassa di risparmio lombarda e continuò ad esercitare la lucrosa attività forense. Nel 1929 venne rieletto alla Camera, ma dovette sopportare un'altra sconfitta, restando escluso dal Gran Consiglio. I rapporti con gli altri gerarchi non erano buoni e ciò esponeva il F. ai continui tentativi che essi facevano per screditarne l'immagine. Contro le ripetute accuse e insinuazioni che gli venivano rivolte, si appellava a Mussolini, ma senza successo. Dopo una serie di rifiuti il duce accettò, il 21 nov. 1933, di incontrare il F. per un chiarimento. Non si sa in base a quali nuovi elementi o mezzi di pressione il F., dopo quell'incontro, riuscì a risalire la china e a ristabilire un modus vivendi con Mussolini. All'inizio del 1935 fu reintegrato nel Gran Consiglio e venne nominato ministro di Stato. S'impegnò nella preparazione della campagna d'Etiopia, alla quale partecipò per breve tempo. La sua permanenza in terra africana fu infatti interrotta da un incidente accadutogli mentre pescava con una granata e che gli causò l'amputazione della mano destra. L'anno successivo, inviato da Mussolini in Spagna per assistere Franco, il F. perorò la richiesta di un intervento italiano a sostegno dei nazionalisti. In questo periodo la sua influenza era accresciuta dal legame sempre più stretto tra il fascismo e il nazismo sancito dalla proclamazione dell'asse Roma-Berlino. Di tale intesa era stato uno dei più convinti assertori e ne divenne il più strenuo difensore fino al tragico epilogo. Il F., che vantava buoni rapporti con il vertice nazista, fu sempre considerato in Germania e in Italia come il più filotedesco tra i gerarchi fascisti. Nel 1938 fu il gerarca che maggiormente s'impegnò perché anche in Italia fossero varate leggi razziali e quindi si distinse nella campagna antisemita. La crescente sintonia tra nazismo e fascismo avrebbe dovuto portare, secondo il F., all'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Germania già nel 1939. Le cose sembravano comunque andare per il verso voluto dal F. e questo contribuiva a rafforzare la sua posizione, tanto che nel 1939 venne nominato luogotenente generale della milizia. Quando l'andamento della guerra cominciò a volgere al peggio non ebbe esitazione ad addossarne la responsabilità ai comandanti italiani, ritenuti inetti (il suo bersaglio preferito fu P. Badoglio), proponendo che anche le truppe italiane venissero poste sotto il comando unificato tedesco. Il F. contribuì, suo malgrado, a facilitare la manovra di D. Grandi, allorché richiese con insistenza, ed infine ottenne, la convocazione del Gran Consiglio per il 24 luglio 1943. Dopo aver preavvertito Mussolini di una possibile congiura ai suoi danni da parte di Grandi, degli ambienti militari e della Corona, il F. aveva intenzione di ottenere dal duce un maggiore coinvolgimento suo e degli altri gerarchi nelle decisioni. Voleva in pratica mettere fuori gioco i meno entusiasti della prosecuzione della guerra e dar vita ad un governo filotedesco. La convocazione del Gran Consiglio servì per scopi opposti a quelli perseguiti dal F., che venne così a trovarsi in una situazione difficile. Nelle ore che seguirono la caduta di Mussolini trovò rifugio presso l'ambasciata tedesca e venne quindi fatto partire per la Germania. Qui il 27 luglio incontrò Hitler e nell'occasione non si trattenne dal criticare il comportamento di Mussolini, proponendosi, neanche tanto velatamente, di prenderne il posto. Questo atteggiamento contrariò Hitler e fece sorgere non pochi dubbi sulla sua affidabilità anche agli altri gerarchi nazisti. Con la costituzione della Repubblica sociale italiana il F. non ebbe quelle posizioni di potere alle quali ambiva, considerando la sua coerente condotta filotedesca. Privato invece di qualsiasi carica di partito o di governo, si ritrovò ad esercitare il potere assoluto nella "sua" Cremona, da dove continuava a far sentire la sua voce in favore dell'intransigenza assoluta e dell'alleanza con i nazisti. Il 27 apr. 1945, abbandonata Cremona, cercò di raggiungere la Svizzera, ma venne catturato dai partigiani nei pressi di Beverate. Da qui venne trasferito a Vimercate (prov. Milano), dove un tribunale del Comitato di liberazione nazionale lo sottopose a un processo sommario. Condannato a morte, il F. venne fucilato il 28 apr. 1945.
Lot # 790 - MEDAGLIE ITALIANE – VENTENNIO FASCISTA (1922-1945) – FEDERICO (FEDERIGO) PAPI – HYMEN HYMENAEE – ALLEGORIA DELLE NOZZE - SIENA – POMEZIA - ESTREMAMENTE RARA. Placca Bronzea di notevoli dimensioni, EVIDENTE PROVA DI ARTISTA, che verrà utilizzata dall’autore per la coniazione della medaglia emessa nel 1924 (Vedasi Casolari II-55 per il solo dritto). Al dritto due uccelli (due colombi) che si abbeverano da un calice istoriato, sopra stella a sei punte, sopra scritta ~ O HYMEN HYMEAEE~. Rovescio incuso con alloggio filettato, evidentemente andava affissa a qualche supporto (portone? scultura?). Realizzata in bronzo (AE) (ø 130mm, 370g.) Conservazione SPL. Estremamente Rara, praticamente INEDITA al grande pubblico. Sebbene la placca non sia firmata è indiscutibilmente attribuibile all’artista senese sia per il suo stile inconfondibile che per l’esistenza di due medaglie del tutto simili (tranne per alcuni particolari) coniata dalla Zecca di Roma sia durante il Periodo Fascista che quello Repubblicano. Artista di impronta novecentista Federigo (Federico) Papi nasce a Siena nel 1897.Compiuti gli studi all’Istituto Provinciale di Belle Arti della città si trasferisce a Roma dove frequenta la Scuola dell’Arte della Medaglia. Pittore e scultore realizza alcune opere in terracotta spesso modelli per statue. Molto noto come medaglista si dedica anche alla didattica insegnando, a partire dalla metà degli anni Trenta, prima a Roma, presso L’istituto San Michele e alla Scuola d’Arte della Medaglia, poi a Siena, all’Istituto d’Arte “Duccio da Boninsegna” e infine a Milano, all’Accademia di Brera. Muore a Roma nel 1982. Nel 1932 espone sei opere alla XVII edizione della Esposizione Internazionale Biennale d’arte della Città di Venezia, tra le quali il medaglione di bronzo “Natale di Roma – diritto e rovescio”, mostra alla quale è ancora presente in diverse edizioni fino alla XXVI edizione del 1952. Nel 1931 partecipa alla I edizione della “Mostra quadriennale d’Arte Nazionale a Roma esponendovi un “Medagliere (medaglie in bronzo)” ed il disegno “Studio di Testa”. Mostra ove espone nuovamente alla II edizione del 1935, alla III del 1939 ed infine alla V edizione del 1948. A lui fu offerto l’incarico di realizzare le 14 stazioni della Via Crucis nella Chiesa di San Benedetto a Pomezia, il 21 gennaio 1939, stabilendo un compenso di 14000 lire. Fu un’artista poliedrico, appartenente al novero degli artisti dal temperamento inquieto e perfino ribelle che, proprio per questo motivo, sono stati poco valorizzati in vita. Apprezzato da colleghi e amici (gli scultori Publio Morbiducci e Duilio Cambellotti e il critico Mario Valeriani), durante il ventennio Papi ricevette importanti commissioni pubbliche dal regime fascista benché non ne condividesse l’enfasi ideologica. Oltre alla citata Via Crucis, le bellissime medaglie per l’Opera Nazionale Balilla (ONB), la medaglia per la 220° divisione delle CC.NN. Divisone Tevere in Roma del 1937. Profondo conoscitore della medaglistica classica, soprattutto rinascimentale, ne declinò la perentoria nobiltà entro lo spirito novecentista, come a preludere una nuova Roma. Nel dopoguerra Papi si è interessato a una dimensione minimalista, sociale e perfino religiosa: popolane e maternità sono descritte in quel periodo con tratti essenziali che ricordano i primitivi come Della Quercia e Masaccio. Il tema del dritto (due colombe che si abbeverano da una coppa) richiama Il significato salvifico dell’acqua che trova un preciso riscontro figurativo nei mosaici del mausoleo di Galla Placidia. Proprio all’interno del sacello, nato come oratorio privato dell’Augusta imperatrice (425-450), il tema dell’acqua svela il contenuto funerario di tutto questo ciclo musivo. Le due colombe che si dissetano alla fonte, famoso tema iconografico di origine classica, che si ripete quattro volte ai piedi degli apostoli immortalati nei quattro lunettoni di sostegno della cupola. In questo caso e colombe simboleggiano l’universalità del popolo cristiano che si disseta dalla fonte d’acqua viva che è il Salvatore stesso: dall’acqua del battesimo alle gioie della Vita Eterna. Quindi l’acqua è la Parola di Dio che salva dalla Morte nel peccato, in funzione della Vera Vita nell’eternità. Tale discorso trova la sua origine già nell’antico Testamento. Il testo HYMEN HYMENAEE riprende una allocuzione dell’epoca romana. Nell'antica Roma, l'acclamazione (in latino: acclamatio; in greco antico: ἀκτολογία?, aktologhia) era una "manifestazione verbale di gioia, di augurio, di approvazione, accompagnata da clamore e talora da schiamazzo smodato, collettiva o individuale, fatta nelle adunanze pubbliche e private". Imene (greco antico: Ὑμήν), Hymenaios o Hymenaeus, nella religione ellenistica, è un dio delle cerimonie matrimoniali che ispira feste e canti. Almeno a partire dal Rinascimento italiano, l'imene era generalmente rappresentato nell'arte come un giovane che indossava una ghirlanda di fiori e teneva in mano una torcia accesa. Durante l'età romana, le acclamazioni avvenivano solitamente durante l'ascesa al trono e le apparizioni di un imperatore negli spettacoli, il trionfo di un condottiero (tramite l'espressione Io triumphe!), il successo di un oratore (Bene et praeclare!), le cerimonie nuziali (Talassio! O Io Hymen Hymenaee!), da parte dei legionari, del Senato e del collegio dei fratelli Arvali (felicissima! felicissime! te salvo et victore felicissime!) durante la proclamazione e, in segno di approvazione delle proposte, di un nuovo imperatore (omnes, omnes! O placet universis!) Imene appare come un personaggio nella scena finale della commedia pastorale di William Shakespeare Come vi piace, in cui presiede quattro matrimoni unendo otto personaggi, tra cui la protagonista ed eroina dell'opera Rosalind con il suo amato Orlando.
Lot # 791 - MEDAGLIE ITALIANE – VENTENNIO FASCISTA (1922-1945) – JUNIO VALERIO BORGHESE – REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA – DECIMA FLOTTIGLIA MAS – X MAS - REDUCISTICA - MOLTO RARA (RR). Medaglia, non portativa, emessa, in tiratura limitata, nel 1993, commemorativa del cinquantenario della costituzione della Decima Flottiglia Mas - R.S.I. 1943-1993. Realizzati solo 500 pezzi in argento, questo è l'esemplare n. 397. Opus Stelio Ostuni, ex Marò del Btg N.P. Nuotatori Paracadutisti, Decima Mas. Coniazione Stabilimento Picchiani & Barlacchi S.r.l. Firenze. Sul lato frontale, effigie del Comandante, Medaglia Oro al Valor Militare, Junio Valerio Borghese e scritta M.O.V.M. JUNIO VALERIO BORGHESE, sul retro lo stemma della Decima Flottiglia Mas, dopo 08 settembre 1943 e scritta X° FLOTTIGLIA MAS 50° ANNIVERSARIO 1943 1993, con i punzoni relativi. La simbologia presente sui distintivi della X° Mas nasce da un'eredità spirituale dell'eroe capitano di corvetta Salvatore Todaro, caduto il 14 dicembre 1942 nella base di La Galite in Tunisia, colpito dalla mitraglia di uno Spitfire inglese mentre si trovava a bordo del "Cefalo", un mezzo d'appoggio per i Mas. Il comandante Todaro, nei suoi ultimi giorni di vita, aveva manifestato il desiderio di coniare un distintivo in cui apparisse l'emblema di un teschio con una rosa in bocca, argomentando il concetto che "la morte in combattimento è una cosa bella e profumata". Il pittore Giovanni Fumagalli ebbe l'incarico dal Comandante Borghese di studiare il progetto per il nuovo scudetto da braccio, realizzato poi nella forma oggi conosciuta. La distribuzione della medaglia è iniziata nel maggio 1993, in occasione del raduno nazionale, e le cerimonie commemorative del cinquantenario della costituzione della Decima. Astuccio in ottime condizioni. All'interno dell'astuccio è presente un cartoncino pieghevole che autentica la medaglia, con la foto dello scultore Ostuni ed il testo dell'inno della Decima. Riferimenti: Distintivi e Medaglie della R.S.I. 1943-1945 e dei Veterani della R.S.I. secondo volume del 1994 di Fausto Sparacino al nr. VET 130. Realizzata in argento 925% (AG) (ø 38mm, 26g.) Molto Rara (RR). Conservazione FDC. Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese, noto come Junio Valerio Borghese (Artena, 6 giugno 1906 – Cadice, 26 agosto 1974), è stato un militare, politico e nobile italiano, membro della principesca famiglia Borghese, medaglia d'oro al valor militare. Comandante della Xª Flottiglia MAS, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana (RSI) come sottocapo di Stato Maggiore della Marina Nazionale Repubblicana, combattendo al fianco dei nazisti contro l'esercito anglo-americano. Ai suoi ordini la Xª Flottiglia MAS della RSI si segnalò per la particolare violenza e brutalità in funzione antipartigiana, eseguendo in atti condannati come crimini di guerra, molti dei quali occultati per decenni e venuti alla luce solo dopo il 1994 con la scoperta degli "armadi della vergogna”. In seguito alla liberazione del Paese fu posto in detenzione e chiamato a rispondere dei suoi crimini di guerra. A causa delle pressioni e protezione dell'OSS e di settori dei servizi italiani, la corte d'assise di Roma per la determinazione della pena partì dall'ergastolo e applicò diverse attenuanti e sconti di pena, la quale venne ridotta a 12 anni di reclusione per collaborazionismo e per concorso morale nella strage di partigiani fatti fucilare dai suoi reparti. Escluso anche il periodo scontato in regime di carcere preventivo e a causa delle disposizioni dell'amnistia Togliatti, fu scarcerato al termine del processo. Fu presidente del Movimento Sociale Italiano dal 1951 al 1953. Nel 1970 si fece promotore di un fallito colpo di Stato, passato alla storia come "golpe Borghese", nonché di altre iniziative eversive rientranti nel quadro della "strategia della tensione
Lot # 799 - MEDAGLIE ITALIANE – VITTORIO EMANUELE III (1900-1945) – VENTENNIO FASCISTA – TORINO – FIAT - RARO. Distintivo, di forma rettangolare, di propaganda della ditta FIAT di Torino, con piedino per asola della giacca. Al dritto scritta FIAT di color oro su sfondo rosso. Al rovescio sul piedino incisione del produttore S. JOHSON di Milano. Raro. Data la forma del logo della Fiat è databile agli anni ‘30 del secolo scorso (1932-1938). Realizzato in bronzo dorato (AE) e smalti (16x10mm,4gr.). Conservazione SPL FIAT (acronimo di Fabbrica Italiana Automobili Torino) è una casa automobilistica italiana. Il marchio ha una lunga storia, essendo stato fondato l'11 luglio 1899 presso il Palazzo Bricherasio di Torino come casa produttrice di automobili, per poi sviluppare la propria attività in numerosi altri settori, dando vita a quello che sarebbe diventato il più importante gruppo finanziario e industriale privato italiano del XX secolo, oltreché la prima holding del Paese e, limitatamente al settore automobilistico, la maggior casa produttrice del continente europeo e terza a livello mondiale, dopo le statunitensi General Motors Co. E Ford Motor Co., per un ventennio, fino all'esplosione della crisi dell'industria automobilistica torinese iniziata alla fine degli anni Ottanta. L'azienda nacque dalla comune volontà di una dozzina di aristocratici, possidenti, imprenditori e professionisti torinesi di impiantare una fabbrica per la produzione di automobili. L'idea di produrre automobili su scala industriale era venuta agli amici Emanuele Cacherano di Bricherasio e Cesare Goria Gatti, già fondatori dell'Automobile Club d'Italia che avevano precedentemente costituito e finanziato la "Accomandita Ceirano & C.", finalizzata alla costruzione della "Welleyes", un'automobile progettata dall'ing. Aristide Faccioli e costruita artigianalmente da Giovanni Battista Ceirano. Visto il successo ottenuto dalla "Welleyes" alla sua presentazione, Bricherasio e Gatti proposero a un gruppo di conoscenti di acquisire le esperienze, le maestranze e la competenza della "Accomandita Ceirano & C." per trasferirle su scala industriale, come già avveniva nelle fabbriche dell'Europa settentrionale. Oltre ai due promotori, si mostrarono disposti a partecipare il conte Roberto Biscaretti di Ruffia, il marchese Alfonso Ferrero de Gubernatis Ventimiglia, il banchiere e industriale della seta Michele Ceriana Mayneri, l'avvocato Carlo Racca, il possidente Lodovico Scarfiotti, l'agente di cambio Luigi Damevino e l'industriale della cera Michele Lanza. La costituenda società non era ancora stata ufficializzata che la stampa piemontese già pubblicava la notizia come certa. l gruppo di notabili, dopo vari incontri tenuti nel caffè di madame Burello per fissare le linee dell'accordo e dopo aver ottenuto l'appoggio finanziario del "Banco di Sconto e Sete" di Torino, si riunì a Palazzo Bricherasio per sottoscrivere l'atto di "Costituzione della Società Anonima Fabbrica Italiana di Automobili –Torino" redatto dal cav. dott. Ernesto Torretta, notaio patrimoniale della Real Casa: era l'11 luglio 1899. I soci versarono un capitale di 800.000 lire in 4.000 azioni (circa 3,6 milioni di euro del 2014) e affidarono la presidenza a Ludovico Scarfiotti. Occorre aggiungere che, il giorno precedente alla costituzione della società, Michele Lanza decise di ritirarsi, abbandonando il sodalizio FIAT. Lanza aveva già realizzato in proprio, nel 1895, una delle prime automobili italiane e, ben conoscendo le difficoltà tecniche a cui si andava incontro, riteneva inopportuno escludere Giovanni Battista Ceirano dalla società, principale esperto meccanico, per mere questioni di rango. Parte della quota azionaria destinata a Lanza venne assunta dal possidente Giovanni Agnelli, coinvolto in extremis dall'amico ed ex commilitone Scarfiotti, mentre la rimanente quota azionaria venne sostenuta dal Banco di Sconto e Sete. Durante la prima seduta, il consiglio d'amministrazione della neonata FIA (Fabbrica Italiana di Automobili) deliberò l'acquisto dell'"Accomandita Ceirano & C.", liquidando Ceirano con la somma di 20000 lire, oltre ad assumerlo quale agente di vendita. La prima vettura costruita dalla FIAT fu il modello "3½ HP", copia della "Welleyes" e prodotta in otto esemplari nel corso del 1899. Sempre in quell'anno, l'azienda mutò la denominazione in FIAT dietro suggerimento di Aristide Faccioli e con l'entusiastico sostegno di Cesare Goria-Gatti che, dalle colonne del giornale L'Automobile, invitava all'adozione di tale acronimo anche per il suo benaugurante significato latino (terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo fio = che sia, che divenga) circa il futuro dell'intrapresa L'unico a sollevare alcune perplessità fu Emanuele Cacherano di Bricherasio, cui l'acronimo pareva richiamarsi a concetti biblico-religiosi, in contrasto con le sue convinzioni marxiste. Le prime otto vetture furono realizzate nell'acquisita officina Ceirano, poi la produzione si trasferì nel nuovo opificio di corso Dante Alighieri, terminato a tempo di record nei primi mesi del 1900. La FIAT iniziò la costruzione del famoso stabilimento produttivo denominato Lingotto nel 1916 e lo fece entrare in funzione nel 1923. Dopo un primo periodo di difficile sviluppo, segnato da diverse ricapitalizzazioni e da modifiche nella composizione del capitale azionario (non sempre in maniera pacifica ma anche sfociate in processi clamorosi per l'epoca), la proprietà della casa automobilistica viene assunta quasi integralmente da Giovanni Agnelli, che diventerà senatore durante il fascismo e resterà a capo dell'azienda sino al termine della Seconda guerra mondiale. Dopo aver rischiato di perdere la proprietà dell'azienda per la propria compromissione con il regime fascista, Agnelli passa il comando a Valletta, essendo morto in un incidente aereo l'unico figlio maschio, Edoardo. Valletta, uomo di qualità non comuni, si occupò di reggere per conto della famiglia Agnelli una delle poche aziende italiane non completamente inginocchiate dalla disfatta, riuscì a farla rialzare e contemporaneamente fornì l'opportuna preparazione al ruolo che appena possibile avrebbe dovuto assumere il giovane discendente "primo in linea dinastica" (definizione attribuita a Montanelli). Gianni Agnelli, l'erede, divenne presidente della FIAT nel 1966 e lo rimase fino al compimento del 75º compleanno, quando le norme statutarie lo obbligarono a cedere la presidenza. La carica venne assunta prima (1996) dall'ex amministratore delegato Cesare Romiti e poi (1998) dal genovese Paolo Fresco, in arrivo dagli Stati Uniti, ex vicepresidente della General Electric. La crisi del gruppo portò il fratello Umberto alla presidenza (2003) e dopo la morte di Umberto fu la volta (2004) di Luca Cordero di Montezemolo. L'erede designato dalla famiglia Agnelli, John Elkann, fu nominato vicepresidente all'età di 28 anni e altri membri della famiglia entrarono a far parte del consiglio di amministrazione. L'amministratore delegato Giuseppe Morchio, dimissionario, venne sostituito da Sergio Marchionne dal 1º giugno 2004. La gestione di Gianni Agnelli incrementò notevolmente la vocazione multinazionale e plurisettoriale dell'azienda, una vocazione che affondava le proprie radici nelle realtà industriali create dalla Fiat in tutta Europa, già nel primo ventennio del secolo. La crescita, certo aiutata anche dal cosiddetto "boom economico" degli anni Sessanta, fu rilevante sia in campo nazionale sia nei mercati esteri. Le attività e le strategie del gruppo, in origine dirette alla sola produzione industriale di autovetture (e poco dopo anche di veicoli industriali e agricoli), con il passare del tempo e a causa delle mutate condizioni di mercato e del consolidato assetto di gruppo, sono andate verso una diversificazione in molti altri settori. Il gruppo ha al momento attività in una vasta gamma di settori dell'industria e nei servizi finanziari. Si tratta del maggiore gruppo aziendale italiano, che vanta inoltre significative attività anche all'estero, dove è presente in 61 nazioni con 1063 aziende che impiegano oltre 223 000 persone, 111 000 delle quali al di fuori dell'Italia.