Dea Moneta
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Lot # 829 - Napoli. Ferdinando I d' Aragona (1458-1494). Coronato. D/ Busto coronato in età senile del re volto a destra; dietro, lettera I (Jacopo Cotrullo maestro di zecca). R/ L'Arcangelo Michele stante con scudo e lancia nell'atto di trafiggere il drago dal volto umano. P/R 20; MIR (Napoli) 71/1. AG. RRRR. Estremamente raro. La splendida raffigurazione dell'Arcangelo Michele presente nel rovescio sembra essere stata scelta per 'ripagare' il Santo dopo che, in un momento di grande bisogno nel corso della guerra contro i baroni ribelli, il sovrano aveva prelevato tutto l'oro e l'argento dal santuario di San Michele sul Gargano, fondendo pure una statua d'argento raffigurante il Santo. Probabilmente la legenda IVSTA TVENDA si riferisce all'azione riparativa del sovrano (bisogna tutelare le cose giuste). Forse, però, la scelta di San Michele Arcangelo, protettore dell'esercito, fu solo dovuta a devozione e a ringraziamento per la vittoria ottenuta sui baroni. Questo coronato si differenzia dal tipo solito in quanto al rovescio il drago trafitto dalla lancia dell’Arcangelo Michele ha il volto umano. L’emissione ricorda proprio la sconfitta dei baroni ribelli che grazie all’intervento dell’Arcangelo 'a difesa del sacro diritto sovrano, permette di atterrare il demone della ribellione'. Ferdinando salì al trono nel 1458, ma poté considerarsi padrone del Regno solo nel 1464, non prima di aver sconfitto, tra il 1459 ed il 1463, il pretendente Giovanni d’Angiò e i baroni ribelli filo-angioini. Encapsulated PCGS Cleaning - XF Details.
Lot # 870 - Roma. Clemente VII (1523-1534), Giulio De Medici. Quarto di ducato ossidionale (1527). D/ Stemma semiovale gigliato, sormontato da chiavi decussate e tiara. R/ Q / VAR / T / DVC / simbolo di zecchiere con F retrograda su crescente. CNI 171; M. 36; Berm. 839. AG. 7.95 g. 31.00 mm. RRR. Di grande rarità. Salto di metallo e segni al diritto. BB+. Il periodo a cui appartiene questa moneta è sicuramente uno tra i più difficili che Roma e lo Stato della Chiesa abbiano mai visto. La mattina del 6 maggio 1527, a seguito della discesa dal Nord Europa, gli Imperiali cominciarono l'attacco a Roma. Il contingente più numeroso dell'esercito era costituito dai seimila soldati spagnoli agli ordini di Carlo di Asburgo. A essi si aggiungevano le fanterie italiane di Fabrizio Maramaldo, di Sciarra Colonna e di Luigi Gonzaga 'Rodomonte'; molti cavalieri si erano posti sotto il comando di Ferrante I Gonzaga e del principe d'Orange Filiberto di Chalons; inoltre si erano accodati anche molti disertori della Lega, i soldati licenziati dal papa e numerosi banditi attratti dalla speranza di rapine. L'assalto si concentrò tra il Gianicolo e il Vaticano. Carlo di Borbone fu tra i primi ad attaccare ma, mentre saliva su una scala, fu ferito gravemente da una palla d'archibugio, probabilmente scagliata da Benvenuto Cellini. Ricoverato nella chiesa di Sant'Onofrio, il Borbone morì nel pomeriggio. Ciò accrebbe l'impeto degli assalitori, che, a prezzo di gravi perdite, riuscirono a entrare nel quartiere del Borgo. Mentre i lanzichenecchi tedeschi, coperti dal fuoco degli archibugi, conquistavano gran parte delle mura avanzando impetuosamente, le truppe pontificie ripiegavano in rotta senza possibilità di contenimento. Il papa, che era in preghiera in San Pietro, fu condotto attraverso il passetto a Castel Sant'Angelo mentre 189 Guardie svizzere si fecero trucidare per difendere la sua fuga. Privi di comando, i lanzichenecchi, fino ad allora frustrati da una campagna militare deludente, si diedero al saccheggio e alla violenza sugli abitanti della città partendo dal Borgo Vecchio e dall'ospedale di Santo Spirito. Furono profanate tutte le chiese, furono rubati i tesori e furono distrutti gli arredi sacri. Le monache furono violentate, così come le donne che venivano strappate dalle loro case. Furono devastati tutti i palazzi dei prelati e dei nobili con l'eccezione di quelli fedeli all'imperatore. Papa Clemente VII si trovò rifugiato nell'imprendibile Castel Sant'Angelo. Il 5 giugno però, dopo aver accettato il pagamento di una forte somma per il ritiro degli occupanti, si arrese e fu imprigionato in un palazzo del quartiere Prati in attesa che versasse il pattuito. La resa del papa era però uno stratagemma per uscire da Castel Sant'Angelo e, grazie agli accordi segretamente presi, fuggire dalla città alla prima occasione. Il 7 dicembre una trentina di cavalieri e un forte reparto di archibugieri agli ordini di Luigi Gonzaga 'Rodomonte', assaltarono il palazzo liberando Clemente VII che venne travestito da ortolano per superare le mura della città e, poi, scortato a Orvieto. Nell'iconografia pittorica, Clemente VII a partire dal 1527 verrà dipinto con una barba bianca, pare divenuta tale in tre giorni, a seguito del dolore causatogli dal sacco. Oltre alla forte somma per il ritiro degli occupanti, il papa a garanzia dovette consegnare come ostaggi Giovanni Maria del Monte (futuro Papa Giulio III), arcivescovo Sipontino; Onofrio Bartolini, arcivescovo di Pisa; Antonio Pucci, vescovo di Pistoia e Gian Matteo Giberti, vescovo di Verona. Questa moneta, coniata proprio durante l'assedio di Castel San'Angelo, può essere definita a tutti gli effetti una moneta “ossidionale” per le caratteristiche che hanno portato alla sua coniazione. Il fiorentino Domenico de' Rossi, compagno di prigionia del Papa, ricorda così la resa nelle sue “memorie storiche” : ...Il primo capo fu, che Sua santità pagasse 400.000 ducati all'esercito cesareo in tre paghe, cioè 100 mila presentemente, 50 mila tra venti giorni, cioè per tutto il giorno 26 dello stesso mese di giugno, e li restanti 250 mila fra due mesi prossimi. Furono chiamati in Castello gli zecchieri e immediatamente datogli l'oro e l'argento, che vi era dentro rifugiato, ne furono improntati i 100 mila scudi promessi e presentemente pagati; gli altri 50 mila li andavano mettendo insieme, di candelieri, croci, vasi ed ornamenti di Reliquie, quali fatti improntare con le teste di S. Pietro e Paolo , e con l'arme di Sua Santità, furono similmente pagati a quelle insaziabili turbe'.